Andrea Renzi, qual è il tuo primo ricordo con un pallone da basket in mano?
Il primo ricordo con una palla in mano è indissolubilmente legato a mio padre, che purtroppo non c’è più, perché è stato lui a trasmettermi l’amore per questo sport. Il mio primo approccio poi è stato nel mio paese, a San Salvatore di Cogorno, in Liguria, nella palestra in cui ho trascorso le ore legate alla pallacanestro più belle della mia vita.
Il tuo miglior pregio ed il tuo peggior difetto.
Qualsiasi cosa faccia, do sempre il cento per cento. Quanto più posso aiutare qualcuno, tanto più mi applico, credo di essere una persona molto generosa. Il mio difetto maggiore è quello di non riuscire a lasciarmi scivolare le cose, tendo a pensarci ed a rimuginare un po’ troppo.
Parliamo un secondo di Renzi bambino. Materia preferita? Sei sempre stato il più alto? E se sì, questo ti ha mai creato dei problemi nel relazionarti con i tuoi coetanei?
La mia materia preferita, escludendo educazione fisica, religione e scienze sociali, era senza dubbio la storia. Mi affascinano molto i personaggi della nostra storia perché ritengo che ci sia sempre da poter imparare. A scuola ed in palestra sono sempre stato il più alto, sono sviluppato abbastanza presto quindi pensa quanto era il divario…Ma questo non mi ha mai creato alcun tipo di problema, sono cresciuto in un paesino piccolo in cui avevo un gruppetto di amici con cui ero molto affiatato. Poi sono andato via giovanissimo. A 14 anni ero già a Livorno ma ho avuto la fortuna di relazionarmi sempre con ottime persone.
Blucerchiato o grifone?
Assolutamente e sempre Forza Sampdoria!
Quando hai capito che saresti diventato un giocatore di pallacanestro?
Quando mi sono trasferito a Treviso, a 17 anni. Fino a quel momento l’ho vissuta come una splendida avventura, in maniera appassionata e serena grazie a mia madre che è riuscita sempre a farmi stare coi piedi per terra.
Sei andato via di casa molto giovane. Cosa ti è mancato?
La ma mamma mi ha sempre seguito, non negandomi mai la sua vicinanza ed il suo affetto. Quello che un po’ mi è mancato è stato forse il non essere uscito molto con gli amici. Ma adesso raccolgo i frutti di quelli che prima mi sembravano grossi sacrifici, con la consapevolezza di essere un privilegiato che vive praticando uno sport. In un periodo di crisi come questo, in cui tante, troppe famiglie faticano a potersi mantenere, mi fa capire quanto sono fortunato.
Qual è stato fino ad oggi l’allenatore che ti ha dato di più da un punto di vista umano e professionale?
Fin quando non sono andato via di casa conservo un bellissimo ricordo di Fiorenzo Terribile, Paolo Piccioli, Anna Peirano, persone che erano come fratelli, mi hanno spronato, assistito, seguito, conoscevano anche mio padre quindi era come stare tra familiari. Poi dopo che sono andato via, quando cominciava a contare anche il risultato, cito prima di tutto Fabio Colbani e Fabio Marcelletti.
C’è un giocatore a cui ti ispiri o un giocatore del passato con cui avresti voluto giocare o scontrarti?
Il mio modello è senza dubbio Luis Scola, lo guardo in televisione e cerco di emularlo. Se ti dovessi parlare di giocatori del passato, per quanto riguarda l’Italia ritengo che la più bella favola sportiva degli ultimi 30 anni sia quella della Livorno di fine anni ’80 di Alexis e Forti che tra l’altro oggi è anche il mio agente. Uscendo dall’Italia ti cito delle leggende, sognavo di giocare con Petrovic che per me è il dio del basket, Sabonis, Divac e Raja. Sarei voluto nascere una decade prima. Quella pallacanestro ha un altro fascino.
Ti senti più un’ala forte, dunque…
Io penso che nel basket moderno la differenza sia sottilissima, per essere competitivi a qualsiasi livello bisogna essere preparati a fare tutto in entrambi i lati del campo.
Nella tua esperienza, chi è stato il compagno di squadra più forte con cui hai giocato ed il più forte che ti sei trovato di fronte come avversario?
Ho avuto la fortuna di giocare con Gary Neal e Goree a Treviso. Fenomeni! Poi grazie alla Nazionale ho giocato con Gallinari che è un giocatore dal talento smisurato, un predestinato baciato dal dio del basket. Da avversario ti dico Lavrinovic per il talento offensivo e Stonerook per quello che dava alla squadra.
Cosa si prova a vestire la maglia azzurra?
Per me la maglia della Nazionale è la gratificazione massima di ogni giocatore. Spero di poter tornare ad indossarla un giorno…
Da adolescente tutti ti pronosticavano come un giocatore dal potenziale futuro Nba, poi l’infortunio al ginocchio forse ha un po rallentato la tua ascesa. Raccontaci un po quel periodo.
Quando avevo 15-16 anni è vero, c’erano molte aspettative su di me. Io però ritengo che pronosticare un futuro Nba sia molto difficile, bisogna prima dimostrare sul campo le proprie potenzialità. L’infortunio al ginocchio del 2009 è stato un bel problema da superare. Mi ha un po’ segnato emotivamente ma penso che dopo a poco a poco ho ritrovato la mia collocazione e adesso mi sento meglio di prima. Adesso nemmeno ci penso più.